LE FONDAMENTA DELLA PROFESSIONE DOCENTE

Aggiungo un contributo a http://piazzatienanmen.wordpress.com/ e all’ultimo post di Cristina, dedicandolo anche a Sabina, Luisella e altri bloggers molto attivi, su cosa significhi un buon insegnante. Lo trovo in una delle pubblicazioni che circolano sui tavoli del mio Istituto e ormai anche sui miei: I “curricula” del Metodo Galileo, a c. di J.Bickel, G.Grandini, con il contributo di G.Giuntoli,pubblicato a Piazza al Serchio nel 2009 dalla Rete didattica “Galileo Educational”. L’articolo è firmato da Giuliano Giuntoli, uno dei promotori del Galileo, e da C.Batistini. Segue articolo.

I  RAPPORTI  INTERPERSONALI  E  L’  AUTOSTIMA

“(……………………….) vi è una differenza sostanziale fra la concezione dell’insegnante quale operatore della didattica, e quindi attento alle discipline ed ai relativi apprendimenti, rispetto al formatore che insegna, che pone la sua attenzione al bambino che impara.

In questa seconda prospettiva, assume un ruolo prioritario la relazione che il docente sa instaurare con ciascuno dei suoi alunni. L’efficacia di tale relazione è in funzione non solo  della crescita dell’alunno sul piano cognitivo e degli apprendimenti che egli potrà fare, ma anche nella costruzione del suo sé, della propria autostima e delle competenze relazionali con coetanei ed adulti.

Il primo contributo, che ogni alunno dovrà ricevere dal proprio insegnante, è l’attestato di stima e di apprezzamento “affettivo” delle risorse reali di cui ogni alunno dispone, al di là della variabilità intra- ed interindividuale. Tale stima, quindi, non è ancorata al prodotto scolastico, ma ha come conseguenza l’autoattribuzione di valore ad un livello di metacognizione realisticamente positiva, in ogni momento specifico e in prospettiva delle modifiche positive possibili.

Il Metodo Galileo pone al suo centro la relazione insegnante/alunno, allo scopo di facilitare l’attivazione positiva dell’interazione alunno/insegnante. In sintesi, la relazione è bidirezionale, ma come è logico che sia, deve partire nella sua efficacia dall’insegnante. E’ lui l’adulto formatore, educatore, che dispone di competenze e strategie relazionali in grado di attivare nuove relazioni negli alunni, i quali per l’età mancano di adeguate risorse.

Il Metodo Galileo di conseguenza guida gli insegnanti, proponendo modalità per individuare le caratteristiche della relazione, per cogliere ed attuare le strategie, che possono renderla ottimale caso per caso.

Gli strumenti conoscitivi messi a punto dal metodo consentono preliminarmente all’insegnante di conoscere in modo preciso le costruzioni mentali di ogni alunno, già fatte nelle diverse intelligenze, di cui tutti i bambini dispongono alla nascita, ma che ognuno avrà elaborato in modo diverso.

E’ indispensabile che ogni docente, essendo un educatore che insegna, abbia un atteggiamento accogliente verso tutti i suoi alunni. A questo scopo, semplificando, dovrà innanzi tutto riflettere sugli aspetti cognitivi, emotivi e comportamentali che caratterizzano il proprio modo di porsi nei confronti di ciascun bambino.

L’insegnante, quindi, è accogliente e comunica l’accoglienza in maniera individuale; questa perciò è percepita sia dall’alunno, sia anche dagli altri alunni e dalle loro famiglie. La strategia più efficace per garantire l’accoglienza consiste nello svolgimento interattivo di attività pratiche con ogni singolo alunno, a livello individuale o di piccolo gruppo (massimo 5 alunni). Tale attività deve vedere i bambini protagonisti in interazione, nel fare e nel dire, insieme all’insegnante, perché ogni bambino ha bisogno di sentirsi importante per lei, e percepire che ciò che egli fa è molto apprezzato, al di là del valore assoluto del prodotto.

L’insegnante non ignora che i prodotti realizzati dagli alunni possono essere diversi fra loro, ma li fa sentire tutti apprezzati al massimo, e non associa mai la sua stima verso ogni alunno all’elaborato prodotto dal bambino. E’ ampiamente dimostrato, infatti, che se l’insegnante associa la stima e il valore dell’alunno al profitto scolastico, l’alunno rischia di identificarsi con il profitto stesso, con grave danno sulla sua personalità. In definitiva, i prodotti sono diversi, ma la stima dell’insegnante è elevata per tutti gli alunni.

E’ evidente che ogni insegnante deve prima di tutto chiedersi se il suo modo di porsi di fronte all’alunno è associato prioritariamente al profitto oppure alla persona. Appare evidente che per l’insegnante gli alunni sono diversi fra loro ed hanno livelli di profitto differenti, ma la stima è la stessa per tutti e tutti hanno pari valore per lei. Non ci sono alunni superiori o inferiori, ci sono soltanto alunni con competenze maggiori o minori, ma questo non deve determinare l’attribuzione di maggiore o minore valore dell’individuo.

Il sé del bambino quindi è salvo anche nel caso in cui il profitto scolastico non sia brillante, perché la stima dell’insegnante, e il livello d’importanza per lei, è uguale a quello di tutti gli altri. Io non ho bisogno di raggiungere certi livelli di profitto, che per me potrebbero essere irraggiungibili, oppure di barare, facendomi fare i compiti da altri, perché l’insegnante mi stima e mi valorizza per quello che io posso fare.

Spesso capita di chiedersi cosa si può fare quando gli alunni non abbiano instaurato buone relazioni tra loro. A questo problema si può rispondere efficacemente soltanto partendo dalla valida  relazione dell’insegnante con ogni alunno; se l’alunno A non ha una buona relazione con l’alunno B, ma per ambedue l’insegnante è figura di riferimento, risulterà evidente che essa modella per loro le modalità di rapporto da tenere attraverso interventi educativi di mediazione relazionale.. In sintesi l’insegnante, anche inconsapevolmente, risulta sempre modello di comportamento sociale, al di là delle parole che dice, e dei principi che enuncia.

Se desideriamo che i bambini costruiscano abilità personali, di autostima, e sociali improntate al rispetto degli altri, è indispensabile che queste abilità siano “incarnate” dalla persona dell’educatore, impegnato con questi stessi bambini.

Se si pensa che fare esercizi, o attività mirate a costruire competenze cognitive, oltre che personali e sociali, senza che queste trovino il modello nel comportamento quotidiano dell’insegnante, l’insuccesso è assicurato.

Nella prospettiva formativa l’insegnante deve porsi come risorsa per l’alunno e non come giudice pronto solo alla critica e alla sanzione, ed essere percepito pure dall’alunno come risorsa per i suoi bisogni e le sue eventuali difficoltà.

In sintesi la scuola è impegnata, per il suo ruolo e per le sue mansioni, prima di tutto nel promuovere le abilità sociali, che l’OMS così indica: “comunicazione efficace, capacità di relazioni interpersonali, autoconsapevolezza, empatia, capacità di individuare soluzioni efficaci e socialmente accettabili ai problemi, capacità di decentramento cognitivo e affettivo“.

Se tutti gli alunni sono messi in grado di raggiungere traguardi importanti in questi ambiti, legati fondamentalmente alla crescita della propria autostima come scolaro, si raggiungeranno sempre anche livelli ottimali, talora sorprendenti, nei diversi ambiti disciplinari. Infatti, il clima della classe, caratterizzato da accoglienza e collaborazione, costituisce l’elemento essenziale per la motivazione e per l’impegno di tutti gli alunni sul piano cognitivo per l’intero percorso scolastico.

Il conseguimento di risultati ottimali nelle abilità descritte è facilitato dalla condivisione degli obbiettivi e delle strategie da parte dei familiari degli alunni. L’insegnante perciò è impegnato non soltanto negli interventi diretti con gli alunni, ma anche in consulenza, con riferimento al proprio ruolo, in percorsi di formazione e con i familiari degli alunni stessi.”

Su questa base irrinunciabile si fonda la nostra delicatissima professione: sono regole semplicissime, quasi ovvie, che all’inizio suscitavano negli uditori sorrisi ironici e battute, eppure molti di noi col tempo hanno dovuto riconoscere di avere un rapporto tutt’altro che empatico  e accogliente verso certi alunni. Per non parlare dello stile di lavoro: non è per tutti uno stile comunicativo, spesso la comunicazione è una crosta tutta superficiale!

7 pensieri su “LE FONDAMENTA DELLA PROFESSIONE DOCENTE

  1. sabinaminuto

    L’ha ribloggato su sabinaminutoe ha commentato:
    Con piacere ho letto questo articolo che mi è anche stato dedicato.
    “Il primo contributo, che ogni alunno dovrà ricevere dal proprio insegnante, è l’attestato di stima e di apprezzamento “affettivo” delle risorse reali di cui ogni alunno dispone”
    Ogni giorno sento parole dei colleghi che vanno nell’esatto senso contrario.
    Mi rattristo e mi chiedo: ma perchè? Perchè non siamo più capaci di vedere le persone dietro alle prestazioni, perchè abbiamo così perso di vista il fatto di essere prima di tutto formatori, perchè l’adulto educatore ha perso il senso di quello che fa ogni giorno con il “suo” materiale umano?
    Non lo so.

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  2. marina.p

    Confesso che quando leggo articoli come questo subito mi entusiasmo e penso : “Meno male che ci sono altri che la pensano come me!”. Poi,però, mi vengono subito alla mente tutte quelle situazioni in cui non sono stata capace di vivere quelle parole. Non per mancanza di buona volontà o di convinzione, ma semplicemente perchè non sapevo quale fosse la strada migliore da percorrere. Forse sono un po’ influenzata dalla fine di un triennio in cui gli obiettivi di relazione, sia tra pari, sia con gli insegnanti, non sono stati raggiunti con tutta la classe… Ma leggere pagine del genere rinfranca e fa venir la voglia di riprovarci.

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  3. dallomo antonella

    Si è vero, articoli come questo fanno convergere l’occhio e la mente sul centro del problema, ossia, chi è l’alunno per me, insegnante? Uno scolaro che deve raggiungere gli obiettivi minimi prescritti per essere considerabile idoneo ad uno standard ormai sempre più europeo, o una persona che vuole, che può e che io insegnante devo indurre con strumenti appropriati a che la sua specifica evoluzione possa accadere, incanalarsi ed evolversi?
    Quindi ogni alunno è importante, è speciale, è la mia priorità, è è è…?

    La teoria è chiara, ma poi come si trova commentato e sperimentato, la pratica è ben più ardua.

    Non con tutti si riesce, non sempre si ottengono buoni risultati, ma scusate, questo è umano, è inevitabile, è comprensibile.
    Persino i medici che dovrebbero sapere curare il malato in quanto persona, spesso lo curano solo come organismo x, entità fisico-chimica-astratta…dimenticando che invece il malato è un insieme di problemi, stimoli e caratteristiche psico-emotive che lo fanno essere specificatamente diverso da tutti.

    Gli insegnanti non sono aiutati dal sistema a compiere il salto di qualità che invece urge sempre ed assolutamente.
    Però le personali coscienze e sensibilità portano a questo, a essere critici, a essere osservatori sottili, a essere esigenti verso il proprio operato, essendo la professione educatrice molto complessa e delicata.
    Falire è normale, ma non deve essere un motivo per dire “Non è possibile fare di meglio” nè un motivo per dirsi “Non sono una brava insegnante”
    Si deve riprovare, e riprovare, e riprovare, sperimentando con l’audacia della passione e con l’umiltà dell’operaio o dell’artigiano che ricerca, indaga, si interroga… 🙂

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    1. eddablog Autore articolo

      Hai toccato il cuore del problema usando la parola “umiltà”. Il legame con gli allievi, una delle possibili e innumerevoli facce dell’amore, non ammette gradi gerarchici né piedistalli. E’ vicinanza e basta, senza condizioni; è la consapevolezza che anche noi diventiamo più ricchi imparando da loro.

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  4. Luisella

    Grazie per la dedica… Quanta saggezza in queste parole: relazione, stima, autostima, interazione, accoglienza sono le basi dell’apprendimento. Non sempre facili da attuare giorno dopo giorno, ma anche se qualche scivolone capita a tutti, devono essere sempre il nostro obiettivo, l’unico possibile per dare un senso al nostro essere formatori.

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